“In punta di.. penne e pennini”

Nella Sezione II del Museo, dedicata al lavoro, è stato allestito un box che raccoglie diverse tipologie di strumenti e oggetti da ufficio. In particolare, in una vetrina sono contenuti numerosi oggetti di piccole dimensioni quali penne, portapenne, calamai, cuscinetti, tamponi, carta assorbente, e perfino interessanti materiali che vennero utilizzati per realizzare le prime fotocopie. Si conserva una ricca raccolta di penne e pennini, che furono a lungo utilizzate per la scrittura ad inchiostro; tanto che erano ancora in uso nel dopoguerra. Chi scrive ricorda ancora il bidello che passava periodicamente tra i banchi per rinnovare la provvista di inchiostro nel calamaio in vetro, ch’era inserito in un apposito foro nel ripiano del banco.
Oggi tutti questi oggetti si possono trovare a caro prezzo in alcuni negozi di Belle Arti o nei mercatini antiquari.

La rilevanza di questi strumenti, fu così longeva, che ancora in un film del 1991 “La Belle Noiseuse”, vennero inquadrate le mani di un vero artista, Bernard Dufour, nelle scene in cui l’attore Michel Piccoli, che interpretava un pittore, doveva realizzare le sue opere; e tutt’oggi vengono ancora utilizzati da alcuni artisti o dagli amanti della calligrafia.

J. Rivette, scena tratta dal film “La Belle Noiseuse”, 1991 – Le mani dell’artista Bernard Dufour doppiano quelle dell’attore Michel Piccoli

Questi piccoli strumenti, come molti altri apparentemente insignificanti, hanno invece attraversato la storia e contribuito allo sviluppo della civiltà.
Nacquero dall’esigenza di tenere una documentazione scritta: una delle prime avvertite al formarsi delle civiltà organizzate, che si venivano a dotare di una rudimentale forma di amministrazione. Probabilmente per tenere il conto delle scorte alimentari e soprattutto per prendere nota dei tributi.
Agli albori della civiltà, presso gli egizi, la penna veniva ricavata da canne palustri di varie misure, variamente sagomate, e veniva usata per incidere la superficie di tavolette di argilla. Successivamente si inizierà a intingere un bastoncino, opportunamente appuntito, in una sostanza colorata, preferibilmente nera, o in subordine rossa. Siamo alla prima rudimentale ‘penna’.

Come dicevamo, inizialmente una penna consisteva in un’asticella di canna palustre, lunga circa 20cm, che veniva appuntita mediante un taglio obliquo. La punta era poi sfilacciata attraverso la masticazione, di modo da poterla utilizzare come un piccolo pennello. Esistevano naturalmente anche i pennelli veri e propri, ma questi erano usati soprattutto per la pittura.
Meno diffusa, ma comunque utilizzata, era una cannuccia metallica.

Strumenti dello scriba del XVI sec. a. C.

Le penne venivano normalmente conservate in un contenitore, consistente in una tavoletta lignea che presentava delle scanalature per riporle e delle vaschette, scavate nel legno stesso, nelle quali era possibile miscelare gli inchiostri. Questa sorta di astuccio è denominato dagli archeologi paletta da scriba.

Siracusa – Museo del papiro, paletta da scriba

Presso i greci, e poi coi romani, la penna era denominata calamo, ed era concettualmente molto simile a quella egizia, se non per il fatto che, mentre gli egiziani utilizzavano il giunco (Juncus Maritimus), i greci e i romani utilizzavano canne più rigide e senza sfilacciatura e la punta era divisa in due, come nella moderna penna stilografica.
Con l’avvento del Cristianesimo si assistette ad una importante evoluzione tecnologica: si passò dall’utilizzo della canna palustre a quello delle penne d’oca o, molto più raramente, di cigno. Il fenomeno nacque dall’esigenza di avere un gran numero di testi scritti, da utilizzare nelle celebrazioni liturgiche. La penna d’oca consente infatti una scrittura più fine e soprattutto più veloce.
La sostituzione del calamo con la penna d’oca non avvenne istantaneamente: iniziò intorno al IV secolo dopo Cristo e si concluse solamente nell’IX secolo, senza peraltro che il calamo in canna uscisse definitivamente di scena.
La penna d’oca (e meno diffusamente anche il coltellino utilizzato per forgiarla e mantenerla in efficienza), è ampiamente illustrata nei manoscritti medievali, senza che fosse un’intenzione degli autori; ma d’altronde era lo strumento principe degli Evangelisti, e a volte, si potevano trovare anche disinvolti ritratti, o autoritratti, dello scrivano stesso.

“Salterio di Eadwine”, Cambridge Ms. 17 I, f.283 v – autoritratto di Eadwine

La penna doveva essere opportunamente preparata: si sceglieva una penna remigante, proveniente dall’ala destra dell’oca, tra quelle cadute per la muta, che nelle nostre zone avviene a giugno.
Se necessario, veniva anzitutto asciugata per qualche tempo, immergendola nella sabbia calda.
Veniva privata delle barbe e accorciata fino alla lunghezza di circa 20cm. Questo procedimento sembra essere ignorato nei film storici, dove la penna spesso compare per intero (probabilmente per rendere immediatamente comprensibile da dov’era ricavata e non per un errore).
L’asticella che si otteneva conservò il nome di calamo.
Per formare la punta si seguiva una procedura consolidata, che consisteva nel tagliare trasversalmente la penna d’oca, per poi affinarla con una serie di tagli che le davano una forma simile a quella di una penna stilografica. Questo tipo di taglio riusciva ad assorbire l’inchiostro per capillarità e aveva lo scopo di servire da serbatoio, per impedire che si formasse una gocciolina che potesse rovinare la scrittura.
Un altro taglio veniva praticato perpendicolarmente all’asse della penna, o leggermente obliquo rispetto a questa direzione, e determinava il tipo di scrittura: grossa o fine, a seconda del punto in cui veniva praticato il taglio e della forma che si dava alla punta.

Una delle scritture medievali, la carolina

La scrittura con la penna consisteva, a causa della conformazione della punta, in un alternarsi di tratti grossi e tratti sottili: il tratto sottile era determinato dallo spessore del tubicino della penna, mentre quello grosso da quest’ultimo taglio perpendicolare.

La punta sagomata – il taglio finale è quello contraddistinto dalla lettera E

La preparazione della penna era di grande importanza e se ne curavano i dettagli in maniera maniacale. Cennino Cennini nel suo Libro dell’arte, trattato tecnico scritto all’inizio del XV secolo, suggeriva di completare nel dettaglio la punta della penna appoggiando la stessa sull’unghia del pollice per poi rifinirla con un coltellino.
La penna d’oca è stata descritta da numerosi autori: prima di Cennino Cennini ne aveva parlato Isidoro di Siviglia, ed esiste anche un testo, se pur tardo, dedicato esclusivamente alla penna d’oca Il modo de’ temperare le penne con le varie sorti de littere, edito a Venezia nel 1527 e scritto da Ludovico Arrighi, cancelliere della Curia papale. Il testo era illustrato dalle xilografie di Eustachio Celebrino, le quali, furono appositamente realizzate per quest’opera.

L. Arrighi, Il modo de’ temperare le penne con le varie sorti de littere, Venezia, 1527 – Penna e coltellino per temperare

L. Arrighi, Il modo de’ temperare le penne con le varie sorti de littere, Venezia, 1527 – Come sagomare la punta e impugnare la penna

Nei primi decenni del XIX secolo, con l’introduzione di innovazioni tecnologiche, ebbe inizio una progressiva sostituzione della penna d’oca con altri strumenti scrittori. Questa sostituzione non impedì tuttavia che la penna d’oca fosse ancora utilizzata agli inizi del ventesimo secolo.
La prima innovazione consistette nel pennino metallico, che vide la luce nei primi decenni dell’Ottocento. Il primo brevetto è del 1803. Poco dopo nel 1811, Bryan Donkin ne pubblicizzò un secondo. La produzione industriale vera e propria iniziò nel 1822 a Birmingham, ad opera di John Mitchell.
In verità, già in precedenza si era iniziato a pensare a dei pennini metallici, ma il progetto non ebbe seguito per motivi economici.

Lo stesso si può dire per la penna stilografica. Il concetto di penna che incorpori un serbatoio di inchiostro era già stato realizzato a partire dal 1600. Anche Leonardo da Vinci ne aveva disegnata una, ed esistono alcuni aneddoti che spostano i suoi inizi molto più indietro nel tempo, e più precisamente, nel X secolo. La miglior descrizione di una rudimentale stilografica è quella fornita dall’inventore Daniel Schwenter (1585 – 1636). Il serbatoio d’inchiostro era costituito da una seconda penna inserita all’interno della prima. Era un progetto piuttosto complicato da realizzare e per questo non ebbe seguito.
Della penna stilografica, come la conosciamo oggi, esistono vari brevetti: a partire dal prototipo in bronzo e corno del 1780 di Scheller.
Il governo della Francia nel 1827 brevetta un modello dell’inventore Petrache Poenaru.

Il brevetto “penna senza fine” di Poenaru del 1827
Archivio INPI (Institut National de la Propriété Industrielle), Courbevoie, FR

Dal 1850 seguono altri brevetti, ma per arrivare ad una produzione di tipo industriale della penna stilografica, si dovette parallelamente lavorare, anche sulle singole parti e attrezzature, quali il pennino dorato con la punta in iridio, l’ebanite e l’inchiostro a flusso libero.
Quella che viene considerata la prima stilografica, intesa in senso moderno, fu quella prodotta industrialmente da Lewis Waterman (1883).

L. Waterman, penna stilografica, 1884

L’innovazione più recente (escludendo i pennarelli e i puntali per inchiostro di china per il disegno tecnico) è la penna a sfera, comunemente nota come Biro o Biro Bic.

Il nome Biro deriva dal nome del giornalista ungherese László Bíró, che realizzò un prototipo che sfruttava la proprietà dell’inchiostro tipografico: seccare velocemente; il quale, venne opportunamente perfezionato dal fratello chimico.

Un ritratto di László Bíró e il suo prototipo di “strumento per
scrivere” del 1945

Il brevetto di Bíró del 15 giugno 1938, depositato in Gran Bretagna, arrivò appena in tempo per sostituire le penne stilografiche in uso agli aviatori della RAF impegnati nella Seconda Guerra Mondiale: che, a causa della pressione dovuta all’alta quota, perdevano l’inchiostro.
Nel 1941 i fratelli Bíró, fuggiti dalla Germania in Argentina, depositarono un nuovo brevetto: la Bírós Pen of Argentina (1943) e lì ne avviarono la produzione industriale.

Il nome Bic deriva invece da quello del barone di origine torinese Marcel Bich, che nel 1945, in Francia, avviò una produzione di penne a sfera sul brevetto di Biró. In quel momento, si decise anche di togliere l’H al nome del modello.
L’azienda da lui fondata è nota oggi per la produzione di materiale da cancelleria e accendini usa e getta.

PiErre